lunedì 30 luglio 2012

Lunedì Poesia - Giovanni Piazza




Peccato originale

Autore: Giovanni Piazza


Gente tranquilla, quella di paese,
con il tempo inchiodato a una speranza         
e le vite che sembrano già spese,
da quel vissuto mai tanto abbastanza
che corre nell'immobile in attesa
che il fine concretizzi la sua resa.

II 
E stanno tutti lì, seduti in tondo,
il farmacista, il medico, il notaio
con quel giornale che li aggancia al mondo
e che li illude di rifargli il paio.
'Domani pioverà.' - Governo ladro.'
"Quando si dice… ehi, guarda un po' sto quadro!'

III 
 - sbotta don Mario e legge a voce piena
di quella Madonnina che da un mese
làcrima e piange a Santa Maddalena -
"Ce fanno già l'albergo, nel paese!
Ma pensa te, ma stanno a fa' sul serio,
se stanno scatenando un putiferio.

IV 
Certo che ci starebbe, sta fortuna,
che il pellegrino prega e intanto spende
e una Madonna nostra, fordognuna,
servirebbe a spiantare un po' di tende.
Fabrì, tu ciài la statua di quel santo,
potremmo incoraggiarlo, un altro pianto!"


"Potremmo? E non lo so."  disse Fabrizio
"però sarebbe enorme l'importanza,
e non foss'altro a toglierci lo sfizio
di dare a sto mortorio una speranza,
un sogno in prospettiva e in men che sia
moltiplicar l'incassi in farmacia.

VI
Ma ci vuole una statua con la pompa
che ci trasudi liquidi umorali
ed un congegno che non si corrompa.
Ho letto che li fanno, tali e quali,
ma non c'è tanto da fidarsi, sai
che se si scopre allora sono guai.”

VII
"E allora ci vorrebbe una visione,”
 - disse don Mario con lo sguardo assente -
“qualcuno che rendesse un'emozione
magari simulando un accidente.
Parlare alla Madonna? Si può fare,
e avremmo pure chi convulsionare.

VIII 
Prendi Filippo il bello, lo spazzino.
Quello con tutti i guai che si ritrova
convincerebbe il diavolo, perfino.
Per lui sarebbe il salto, vita nuova,
e ci scommetto che per l'occasione
accetterebbe senza esitazione.

IX
Noi no, che non potremmo, e questo è certo.
Formali ed ingessati a quell'impatto
non tireremmo fuori quel sofferto
che trascendendo concretizzi il fatto.
È quindi chiaro che se ci si accosta
ci vuole un bello con la faccia tosta.

X
E lui la faccia ce l'ha tosta assai
che quando insegue assensi e dilazioni
s'inventa ogni secondo mille guai.
Riguardo al bello, poi, sono impressioni
che rivelano tristi, eppur che sono,
che il bello è più credibile del buono."

XI
Parve campato in aria, quel progetto,
ma nel silenzio che ne derivò
i due, solleticati dall'effetto,
scrutavano il riflesso di Totò
fantasticare in quel suo mondo perso
immerso in quel fantastico diverso.

XII
E lui sorrise: 'Giusto, un visionario,
e noi più visionari e squilibrati
da quella tentazione. Eh sì, don Mario,
la mèrita, il paese, un'emozione.
Il progetto è da pazzi. Detto ciò,
ragazzi, siete pazzi ma ci sto!'

XIII
“Ci stai?” - fece don Mario pensieroso
"Pensi davvero che si possa fare?
Scherzare si scherzava, anche se coso,
Filippo è proprio in tutto in alto mare
che non dovrei parlare, ma da zitto
dirò che avanzo un anno e più di fitto.”

XIV 
"Vedi? Il destino è dalla nostra parte."
intervenne Fabrizio - "E sì perché
del pagherò che si trasforma in arte
Filippo è paladino anche con me
e col suo conto aperto in farmacia
ci inseguiremmo una cavalleria.

XV 
"E allora che si chiami il bel Filippo!"
enfatizzò don Mario nell'arringa
"Che gli si dia lo scopo dell'inghippo
e se poi non ci sta, lo si costringa!"
Ciò che pareva un misero architetto
eccitava diggià quel primo effetto.

XVI 
"Signori, ma ci state con la testa?"
sorrideva Filippo preoccupato
e manteneva l'attenzione desta
e balzava nervoso d'ogni lato
perché quei tre, novelli carbonari,
erano stati molto e molto chiari

XVII 
in quello sgabuzzino riservato
retrobottega della farmacia.
"Certo, lo so, che sono un disgraziato,
però coscienza è pure questa mia…
..."scherza coi fanti e lascia stare i santi'…
no no, macché, l'inferno tutti quanti!”

XVIII 
"E già l'abbiamo in terra, quell'inferno,"
fece don Mario - "e tutto il grande fuoco
che accende in ogni cuore il Padreterno
e che conforta e aiuta e non da poco
però come ogni fuoco brucia pure
alimentando immagini e paure.

XIX 
Ma sarammài così tanto crudele
un Dio da condannarci in sempiterno?
E fu bugiardo il tempo delle mele
che non si preoccupò di quell'inferno?
E sarappòi rimedio, la paura,
se il male non è peggio della cura?"

XX 
"Ma il filosofo qui non ero io?"
disse Totò mentre s'alzava in piedi
"E in questa storia certo, c'entra Dio
ma poco importa il fatto che ci credi
perché si tratta solo di normale
sèmplice operazione commerciale.

XXI 
E quando non si naviga nell'oro
ma si vuole però che la famiglia
possa vivere in pace e nel decoro
si afferra, la fortuna, e la si imbriglia
perché fortuna, onore e gioventù
passati poi non torneranno più.

XXII
E questa qui, Filippo, è l'occasione
ma soprattutto è quello che ci spetta
per quello che ci devi, e non si pone
null'altro che non sia la scelta netta.
Perciò decidi, ma pensando poi
che i cambialoni ce li abbiamo noi."

XXIII   
Sbiancò, Filippo, e parve come se  
già si perdesse in mistiche visioni -  
"Don Mario… Don Totò… Fabrì… perché…  
ma proprio a me, mannaggia ai cambialoni.  
Decidi, è ‘na parola, e come faccio?  
Come me spiccio da quest'intrallaccio?    

XXIV   
"Vabbè, datemi un giorno che ci penso,  
tanto se il paradiso può aspettare    
figurati l'inferno, e se buon senso  
vorrà provare a farvi ragionare  
il consiglio che porta poi la notte  
vi faccia risveglià coll'ossa rotte."    

XXV
E se ne andò, Filippo, sì turbato
ma stuzzicato dalla prospettiva
di togliersi lo stitico dal fato.
"Già, la fortuna quando arriva arriva!"
Però scherzare con la provvidenza
gli pesava un bel po' sull'incoscienza

XXVI
"Certo, sto bene, cosa vuoi che sia!"
fece alla moglie che lo vide scuro
quando s'accorse che la sua Maria
qualcosa sospettava di sicuro
perché quand'era in ansia e molto scosso
sudava e gli veniva il naso rosso.

XXVII
E brontolò, Maria, tutta la sera,
e l'inseguì fin dentro ai suoi perché
e s'infuriava quando lui non c'era.
 Poi si misero a letto fino a che,
mentre inquieta assisteva già la notte,
fu lui che si svegliò coll'ossa rotte.

XXVIII
Ma con la percezione, tra quell'ossa,
che la grande occasione fosse là,
pronta in attesa solo di una mossa
che nel suo cuore aveva fatto già.
Così la sera, naso rosso e via,
s'intrufolò nel retro farmacia.

XXIX
Ed ogni sera lì, per giorni e giorni,
ognuno ad attenuare i dubbi altrui,
Filippo a delinearsi in quei contorni,
Totò giustificandone i per cui
Mario pronosticando arrivi in massa
Fabrizio già sognando in pronta cassa,

XXX
con quella presunzione d'innocenza
che tutto fosse fatto a fin di bene,
che tutto fosse in fondo provvidenza
come il sangue che scorre nelle vene
e sperando perciò dall'evidente
che la coscienza non rischiasse niente.

XXXI
E venne il giorno. I tre seduti in tondo
a far finta di leggere un qualcosa
mentre Filippo, màdido là in fondo
non certo per la gran giornata afosa,
giunto nei pressi e alzatosi nel viso
si aprì nel suo fantastico sorriso.

XXXII
"Madonna!" - sussurrava - "Sì Maria…"
"Filì, checciài, cheffà ti senti male?"
"Sarà sto caldo, e cosa vuoi che sia."
"Senti, parla con gli angeli." - "Col sale?"
"Ma no, meglio l'aceto, sempre detto."
"Fàtelo respirare, poveretto!"

XXXIII
Ma Filippo insisteva in quel sorriso
finché, posto un ginocchio a mezza altezza,
volse lo sguardo al mondo condiviso
recuperò di colpo l'altra mezza
ed esclamò:"M'ha detto qualche giorno,
d'aspettare, che poi farà ritorno.

XXXIV
M'ha detto ch'è la Vergine Maria
e m'ha chiamato figlio prediletto…"
"E non ti manca certo fantasia!"
"Ti dico che l'ho vista, me l'ha detto!"
"Sì sì, ma adesso vatti a riposare
perché mi sembri ancora in alto mare."

XXXV
"Dai che t'accompagniamo!" - "Grazie, no,
ce la faccio da solo, grazie assai"
Ma solo non rimase neanche un po'
perché la voce s'era sparsa ormai
e un vociare di bimbi tutt'intorno
gli rallegrò la strada del ritorno.

XXXVI
"Madonna, e ci mancava solo questa"
disse Maria sperdendo quel codazzo
"A casa, via, finita già, la festa!
Filippo, cos'è stato! Ma sei pazzo?
Vieni, sièditi qui, perché ‘sta storia
mi pareva d'avèrcela, in memoria."

XXXVII
"Non so che è stato, non lo so Maria!"
fece Filippo - "Ma ritornerà.
Ma no, quale bevuto, che pazzia,
l'ho vista, mi parlava, stava là!"
Certo che son sicuro, certo sì
e m'ha detto che torna giovedì."

XXXVIII
"Eccolo là, l'appuntamento ha preso!"
"Sicuro, tornerà di nuovo lì!"
sbottò Filippo con lo sguardo offeso
ma ben sapendo che quel giovedì
essendo il solo giorno di mercato
tutto il paese avrebbe presenziato.

XXXIX
Faceva parte dell'accordo, quello,
studiato e ristudiato a tavolino
coi giovedì prescelti e per suggello
che suggerisse un frèmito divino
una delle boccette di Fabrizio
dare essenza di rose all'artifizio.

XL
E giovedì puntuale nel sorriso
fu lì, col quel ginocchio a mezza altezza,
lo sguardo assente al mondo condiviso
mentre recuperava l'altra mezza
e bisbigliava un'ave a mezza voce
segnandosi col segno della croce.

XLI
"Attenti, che il maligno si traveste"
tuonava don Pasquale l'arciprete
"e serpeggiando alligna come peste
che aborre l'acqua dove più c'è sete!"
poi si chiedeva cupo:"Ma perché
se fosse Lei non viene anche da me!"

XLII
E interrogava duro ed insistente:
"Tu fumi chissaqquali porcherìe,
Filippo, e incanti tanta buona gente
ma attento,  cave canem… sine die!"
Filippo sorrideva e a mezza voce
si segnava col segno della croce.

XLIII
E per tre mesi continuò così!
Però passava il tempo ma l'impresa
restava circoscritta al giovedì.
Certo la gente intenta a far la spesa
ne discuteva assai, ma in verità
la discussione poi moriva là.

XLIV
Fin quando in una sera di foschia
il figlio di don Mario in motorino
sbandò, perse il controllo e in men che sia
corse di schianto incontro al suo destino.
"Don Mario... si signora... è grave assai,
è in coma e può non risvegliarsi mai."

XLV
"Il casco al braccio, questi ragazzini...
come se questa vita fosse un gioco
da consumare in fretta e motorini,
come se già di suo non duri poco.
Signora, pur se in tutto non dispero,
ci vorrebbe un miracolo davvero."

XLVI
Cuori di mamma e palpiti smarriti,
a confrontarsi ormai sempre più spesso
con quell'asfalto e con quei tristi riti.
"Il casco no, che non l'aveva messo…
lo adorava, quel gel che lo condanna…
lo faceva più alto d'una spanna…

XLVII
No, dall'amore non c'è mai difesa
perché non pensi mai possa tradire
e la condanna è proprio alla sua resa…
la colpa è mia, dovevo intervenire…"
Don Mario accanto, cupo a capo chino,
temeva invece il monito divino.

XLVIII
"Ma la speranza è ancora dono immenso."
sorrideva quel pianto già sconnesso
di quella mamma che inseguiva un senso.
"Abbiamo la Madonna in casa, adesso.
Io vado da Filippo, è giovedì."
Don Mario a quel pensiero inorridì.

XLIX
Ma non poté fermarla, proprio no.
Quella speranza con un cuore intorno
non poteva stroncarla e per un po'
l'accompagnò nel farsi quasi giorno.
Poi la lasciò: "Non ce la faccio, va',
Filippo è buono, lui ci aiuterà."

L
Filippo il bello che diventa buono.
Che strana, questa vita. Quasi un gioco.
Lui che cercava di trovare il tono,
lei che chiedeva udienza in alto loco,
don Mario indietro con il mondo addosso,
un naso che tornava a farsi rosso.

LI    
Quel giovedì fu doppio, quel sorriso,   
doppie quelle ginocchia a mezza altezza,   
doppio lo sguardo al mondo condiviso   
cercando quasi mai quell'altra mezza,   
infiniti, quegli ave a mezza voce   
ognuno col suo segno e la sua croce.     

LII    
"Sorride, la Madonna?" - "Si signora."   
"Buon segno allora forse." - "Forse sì.   
Però bisognerà pregare ancora."   
"Per il mio bimbo faccio notte qui..."   
Poco alla volta, intero quel paese   
pregando tralasciò mercato e spese.     

LIII    
Sette giorni d'incroci ed inginocchi    
sette notti di sèggiole ed affetti        
tanto concreti da sentirne i tocchi   
e il giovedì seguente i primi netti    
segnali di ripresa: "Si, migliora,   
si salverà di certo." disse allora     

LIV    
l'incrèdulo dottore - "E se la scienza   
s'inchina innanzi a casi eccezionali   
solo il confido nella provvidenza   
consente di spiegarli come tali."   
Miràcolo! Certezza d'utopìa   
si propagò di colpo in ogni via.     

LV    
E delirio ed ebbrezza e grande festa   
e poi televisioni e giornalisti   
e processione con Filippo in testa   
a percorrere i luoghi che li ha visti,   
protagonisti e carbonari insieme,   
gettare la speranza di quel seme.     

LVI    
E don Pasquale già convinto e fiero   
a condurre le lodi tra la ressa   
che invadeva quei luoghi per intero  
"Preghiamo per la grazia già concessa
figliuoli, e che le Sue visitazioni
contìnuino a sorriderci nei toni."

LVII   
E Filippo, puntuale nel sorriso,  
pronto col suo ginocchio a mezza altezza  
e quello sguardo al mondo condiviso.  
Ma nell'attimo poi dell'altra mezza  
confusamente si sentì pervaso
ed un qualcosa gli riaccese il naso.

LVIII   
E poi sbiancò di colpo, eh sì perché
adesso la vedeva per davvero,  
la Celeste Signora, e come se  
sentisse in cuore un alito leggero  
rimase col sorriso prestampato:
"Ma allora quel miracolo c'è stato!"

LIX
E Lei: "Certo, Filippo, quello vero.
Te l'ha concesso il Padre mio Figliuolo.
Ma no, c'ero già prima! E sì che c'ero,
e mica sei rimasto mai da solo.
Tu non vedevi, ma nel Suo progetto
eri diggià quel figlio prediletto.

LX
L'essere buoni e giusti unitamente
è complicato pure per un Dio
ed in ogni miracolo evidente.
Per questo allora il vostro Padre e mio
vi si concede ed ogni incongruenza
si forma e si conforma in Sua parvenza.

LXI
La gloria di colui che tutto muove
per l'universo penetra e risplende
in una parte più e meno altrove.

Nel ciel che più della sua luce prende
potrete poi comprenderne il disegno,
Filippo, è questo il segno del Suo regno.

LXII
E quel disegno si avvarrà di te."
Gran giorno, fu quel giorno! E da quel giorno
nella piazzetta in alto adesso c'è
una iscrizione con i fregi intorno
incastonata in un celeste ordito
che dona una speranza d'infinito.

LXIII
E tanti alberghi e tanta ormai la gente
e ristoranti e mense e bancarelle
e un gran da fare intorno e che si sente,
impresso in fondo al cuore e sulla pelle
intenso e condiviso dal sorriso
che la speranza accende in ogni viso.

LXIV
Ed una chiesa nuova e grande e bella,
alta che par con Dio ci parli già
ma dietro al campanile, accanto a quella
la piccola chiesetta è sempre là,
colorata d'antico e d'emozione
intatta in quella eterna dimensione

LXV
di eterna utilità della memoria.
E se l’eterna lotta contro il male
che di memoria faccia eterna gloria
donasse al male dignità totale
potrebbe forse, quella dignità,
accettarsi come necessità?

LXVI
Peccato originale necessario.
Chissà. Ma è quell’inciso, ad affrescare
il vecchio contraltare del Rosario,
con giù, tre carbonari ad osservare
composti tra una Vergine ed un santo
un naso rosso ed una mamma accanto.

Godibilissima composizione, questa di Giovanni Piazza, attento e fine artista che sa rendere al meglio certe atmosfere di paese, certe “spinte emozionali e sociali” che governano la vita di tutti noi. Il lungo componimento si legge tutto d’un fiato, grazie ad una particolare capacità tecnica che si traduce in scorrevolezza e piacevolezza.
I personaggi sono ben delineati e ottimamente descritta è la partecipazione corale all’evento.
Giovanni Piazza si fa portavoce di un’umanità descritta con tutta l’efficacia di chi non condanna ma descrive con compassione, intesa come partecipazione attenta, sollecita: anche la “necessità” del peccato fa parte di questa umanità dolente alla perenne ricerca di un riscatto.

Per contattare l’autore: unpodigio@yahoo.it






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