lunedì 30 settembre 2013

"Ulisse torna sempre": la recensione di Francesco Sicilia



La scrittura di Valentina Papa ci trasporta immediatamente, fin dalla prima pagina, in un mondo colorato dalla leggerezza e da una moltitudine di particolari evidenziati dallo sguardo attento e amorevole dell’autrice. Già nella prima pagina del primo capitolo, ad esempio, si legge: “Le sue dita si strinsero sulla carta ammorbidita dal calore del pane”: ecco, chi sa scrivere può riuscire a far convogliare l’attenzione del lettore sul particolare, sul piccolo gesto che – se notato – può dare un senso all’insieme.
La giovanissima Valentina Papa è già alla sua terza pubblicazione, dopo “Lacrime di Gioia” e “Le Chiavi di Lolita”, ma prima ancora che la quantità conta, naturalmente, la qualità, e la sua è una scrittura di alta qualità.
Ne diventiamo pienamente consapevoli leggendo “Ulisse torna sempre”, romanzo nel quale non accadono avvenimenti eclatanti, l’attenzione del lettore non viene catturata sfruttando tecniche quali il colpo di scena o l’immagine forte, né si cerca di far leva impressionando. Sebbene il principale argomento trattato sia molto delicato (la presa di coscienza della propria omosessualità da parte del protagonista Aurelio), Valentina sviluppa la trama con un tatto e una delicatezza propri di chi si immedesima, si lascia coinvolgere davvero, mentre scrive.
I protagonisti sostanzialmente negativi non mancano: ad iniziare dal padre di Aurelio, quel dottor Angelo stimatissimo in paese ma incapace di rapportarsi davvero al figlio; ma a chi scrive non interessa la facile condanna. Valentina si avvicina, e fa avvicinare il lettore, anche ai timori, alle amarezze, alle delusioni del genitore che fatica a comprendere, guidato – come quasi sempre accade – dalle aspettative.
Su tutto, c’è il rapporto speciale tra Aurelio e la nonna, la sola a comprendere fino in fondo cosa guida e cosa turba l’animo del nipote. Ci sono rapporti che vibrano all’unisono anche al di là dell’età e delle esperienze, e quello tra Aurelio e la nonna attraversa tutto il romanzo e ne è protagonista, ancor più delle stesse persone.
Un altro protagonista indiscusso è il paese di Torresogno, perfetta cornice agli eventi: il mare, il faro, le insenature, i colori, le fragranze, i piccoli negozi tra i quali spicca il panificio di donna Carmela… ogni scorcio è descritto con il trasporto di chi ama e “vede” i luoghi, e questo aiuta il lettore a immedesimarsi ancor più nella trama, mentre si svolge.
Qui Ulisse non è l’eroe greco al quale siamo abituati a pensare, forte e determinato nel suo allontanarsi da Itaca; Aurelio, invece, ha bisogno di compiere un percorso personale, intimo, di affrancatura da certe paure, da certi timori che lo bloccano. Anche in questo è aiutato dalla nonna, artefice della “spinta” finale.
Il romanzo si chiude su alcune certezze e molte incertezze, perché questa è la realtà di tutti noi: un perenne divenire che non conosce traguardi definitivi.
Sicuramente la certezza più luminosa che chiude la storia è, per il protagonista, la finalmente raggiunta consapevolezza di essere poeta, e di voler essere il cantore della terra che lo ha visto crescere. Ecco perché il romanzo si chiude con la stessa immagine che lo apre: il faro di Torresogno, piccolo marinaio nella divisa bianca, che saluta chi arriva e chi parte.
Sotto più di un aspetto Torresogno ricorda Agropoli, la cittadina sul mare alla quale l’opera è dedicata, e certamente Valentina ha pensato ai suoi paesaggi, mentre scriveva. In un certo senso, quindi, forse “Ulisse” è anche un po’ lei stessa, nel suo ritornare nei posti che l’hanno vista nascere. Luoghi finalmente non sminuiti rispetto alla grande città, che nel luogo comune è sempre considerata in qualche modo “superiore” al piccolo centro, e invece troppo spesso è dura, caotica, spersonalizzante.
“Ulisse torna sempre” è perciò anche un grande omaggio ad Agropoli, al suo mare, ai suoi colori.

Francesco Sicilia


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