venerdì 4 ottobre 2013

I RACCONTI DI VENER dì - Enrico Giuliano



Il volo di Khair e di Najm


Autore: Enrico Giuliano


Khair, l’uccellino dal petto azzurrino e da una macchia gialla tra gli occhi, volteggiava nella sua piccola gabbia illuminata dal sole.
Conosceva ogni angolo di quella maledetta stanza!
La polvere che come miliardi di stelle brillava nella luce e piroettava ad ogni leggero spostamento d’aria.
I volti sorridenti della mia famiglia e dei miei cari, impressi su fotografie ritagliate e incollate su un grande quadro, appeso al muro logoro, accanto a me.
Condivideva ogni mio gesto, lo strepito del tornio, il suono delle mie mani mentre modellavano i vasi di terracotta.
Conosceva il mio segreto e a volte sembrava piangere insieme a me!
Era una vecchia gabbia di metallo arrugginito appesa vicino alla finestra, dalla quale però poteva sentirsi libero di volare in quel paesaggio appena fuori!
Come lui, anch’io ogni tanto alzavo lo sguardo verso l’orizzonte e sognavo!
Come Khair, nei sogni ero libero di volare, toccare l’erba profumata, giocare coi miei figli, ammirare i fiori colorati, danzanti al cospetto del Dio Sole. Sentire l’acqua impetuosa del ruscello saltellare tra le verdi rocce e giocare con i pesci. Potevo finalmente sorridere lontano dagli orrori di quella guerra! Quella guerra assurda che aveva distrutto la mia famiglia!
Ma quella luce interiore, quella vana illusione ben presto svaniva, come la fiamma di un misero zolfanello.
E così mi ritrovavo solo, seduto al mio sgabello con la schiena curva e le mani ruvide a decorare cocci.
Ora quello era il mio mondo, la mia vita, tutta racchiusa in quel fosco vano.
Ero parte integrante di quell’ambiente, ero anch’io una ceramica!
L’odore della mia pelle ricordava la terraglia e il pulviscolo si addormentava placidamente sulle mie gambe. E come quelle maioliche dentro mi sentivo vuoto dove la voce si spegne in un tonfo sordo.
Quella mattina le nuvole avevano coperto il cielo come a privare il sole da un infausto presagio.
Aprii la finestra e subito un alito di vento gelido entrò nel locale vibrando fra gli oggetti e animando le fotografie. Agitava i detriti che ruotavano come acrobati del circo sui trapezi arerei. La corrente infuriava intonando un mesto canto.
Aprii la gabbia del mio caro amico che rimase immobile a guardarmi coi suoi piccoli occhi scuri, incredulo.
Sorridendo dissi: “buon viaggio amico mio”. Il volto si irrigidì come una lastra di ghiaccio mentre la mia mano strinse il capestro.
Lentamente salii sul vecchio tavolo di legno che gemette dallo sforzo, chiusi gli occhi e volai dentro i miei sogni.


La scrittura di Enrico Giuliano ci parla efficacemente dell’incanto, della forza del particolare che illumina la “scena” della quotidianità. La macchia gialla tra gli occhi, la polvere sospesa nell’aria, l’odore della pelle, tutto concorre a ben delineare l’atmosfera cupa, pesante e aperta alla tragedia che il racconto vuole trasmettere.
L’insensatezza della guerra, dell’odio che non conosce tregua, balzano agli occhi del lettore con una particolare vividezza, in contrasto con la quiete interiore di un animo che non sopporta più l’assenza delle persone amate.
Dal contrasto vita/morte Enrico Giuliano fa scaturire un insegnamento profondo, lasciando però al lettore la scelta del giudizio finale. La splendida immagine del tavolo che geme è il lamento della vita mentre la morte si fa avanti: l’una all’altra, poi parallele, e poi ancora a intrecciarsi.

Per contattare l’autore: gico.art@tiscali.it  

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1 commento:

  1. "Il volo di Khair e di Najm" tratteggia con estrema delicatezza il tragico epilogo di un'esistenza chiusa nella ripetitività e schiacciata da un dolore insopportabile. Colpisce la generosità di Najm, che, prima di volar via da questo mondo, regala a Khair la libertà. Bravo, Enrico! Francesca.

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