lunedì 23 giugno 2014

"Fabian" di Iago ad Agropoli: le foto e la recensione

Sabato scorso la Libreria L'ArgoLibro ha accolto il poeta Iago, tornato ad Agropoli con la nuova raccolta "Fabian", dove poesie e racconti brevi si intrecciano in un percorso rivelatore, cristallino.
Un particolare ringraziamento va ai ragazzi del Gruppo Teatrale Liber (Pagina Facebook: Liber - Teatro e dintorni), nata quest'anno all'interno dell'Associazione Nazionale CTG Omnia: Serena Ruggiero, Marina Carbone, Giampietro Marra, Andrea Ranaldo, Gabriele Celso e Francesco Cara. La loro performance per voci e chitarre, ispirata alla lettura di alcuni brani scelti dalla raccolta di Iago, ha affascinato i presenti.
Gianfranco Marra ha curato anche la recensione critica dell'opera: la riportiamo di seguito, insieme alle foto dell'incontro.
Per info su "Fabian" e per contattare direttamente l'autore: ogaivate@gmail.com - Pagina Facebook: Il Poeta Iago).


























In nome della rosa: Iago

Roberto Sannino è un poeta. Uno di quelli che nella vita fa solo il poeta, uno di quelli che ad un certo punto non si è accontentato più del proprio nome, uno dei pochi che ha scelto di diventare “altro” oltre che “un altro” fra gli altri, di diventare Iago. È proprio Iago che ha scritto “Fabian” (113 pagine, L’Erudita EDIZIONI), una raccolta di poesie e racconti di varia natura. Se le poesie paiono slegate tra loro, una lettura maggiormente accurata però ci svela che non è così , il fil rouge che lega i racconti del libro è il personaggio/persona di Fabian. Fabian è un barbone, è un giovane uomo, è un poeta, Fabian è anche “non umano”, Fabian è un nome che raccoglie decine di altri nomi intorno, intere costellazioni di vita/e.
Iago ci dice di essere “un poeta che scrive racconti e non uno scrittore che scrive poesie” e i suoi racconti risentono di questo particolare stato scrittorio dell’essere. Non c’è nessun classicismo retorico all’approccio di tali brevi narrazioni ma una forma più flessibile, in una certa maniera “liquida”, con la quale l’autore raggiunge l’effetto di una scrittura che letteralmente scivola fra le dita parimenti alla fine sabbiolina di alcune utopiche spiagge da/di sogno che in rari casi la letteratura può svelarci. Di spiagge si parla infatti, atte a contenere gli immaginifici atolli che sono questi scritti, contraddistinti anche da una permeante e positiva accettazione del “lieto fine”, chiave di volta nella lettura dell’irrealtà “iaghiana”. Per quanto riguarda la poesia invece c’è da aprire gli occhi di fronte a tali esempi di quotidiana osservazione della vita, che hanno un preciso scopo ultra-quotidiano e una veste sonora accattivante. D’altronde Iago è un poeta, di poesia si nutre e poesia produce. La sua poesia è come uno di quei vecchi e splendidi mobili polverosi che una volta rimessi a nuovo e tirati a lucido portano qualcosa di antico nella modernità, riuscendo al contempo a non stonare mai nel nostro ipermoderno ed iperveloce secolo. 
In quest’opera tanti nomi diversi concorrono a creare qualcosa di organico in quest’opera e Fabian, Iago, Roberto Sannino sono tante maschere dello stesso volto, che proprio grazie a questi camuffamenti può attuare il miracolo letterario di maggior interesse; rendere la forma contenuto, il molteplice uno. Tanti nomi e tante maschere, così diverse tra loro, che hanno sempre e comunque la stessa voce. Perché alla fine “Cos’è c’è nome? Quella che noi chiamiamo rosa non avrebbe pur sempre lo stesso profumo se la chiamassimo in un altro nome?”
  
Giampietro Marra

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