venerdì 7 novembre 2014

I RACCONTI DI VENER dì - Massimo Renaldini


Le tre soglie

C'erano una volta tre fratelli che decisero di affrontare l'intricato Dedalo delle Soglie: era un luogo immenso, composto da alte mura, siepi impenetrabili, custodi, sortilegi e altre meraviglie.
Si narrava che, se qualcuno fosse riuscito a risolvere il labirinto, sarebbe andato incontro ad un destino radioso. E così i tre fratelli si recarono all’ingresso di quel luogo prodigioso ed entrarono, per separarsi ai primi bivi e proseguire da soli nell'esplorazione di quei meandri, alla ricerca della soluzione.
Il primo, dopo aver peregrinato a caso, giunse a una massiccia porta di legno, rinforzata con lamine metalliche e chiusa da un grosso lucchetto di ottone. Provò ad abbattere l’uscio a pugni e calci, a scassinarlo tirando con forza, a picchiare e ad urlare che qualcuno gli aprisse, ma non accade nulla. Provò anche ad aggirarlo prendendo altre strade, ma alla fine l’uomo tornava sempre nel medesimo punto.
Ben presto si rese conto che i suoi tentativi erano del tutto infruttuosi: la sola possibilità che gli rimase fu quella di tornare sui propri passi e dichiararsi sconfitto.
Il secondo fratello vagò più a lungo tra le cinte murarie e i fitti filari di arbusti, seguendo un preciso schema, studiato in maniera meticolosa, finchè si trovò innanzi ad un ampio e massiccio portone di bronzo. L’uomo calcolò la direzione del vento e il tasso di umidità, e provò a fondere la serratura con una lente che convogliava i raggi del sole, ma il tentativo fa vano. Poi valutò con estrema precisione la posizione degli astri e recitò delle formule magiche, tuttavia anche questa volta non accadde nulla. Infine posò l’orecchio sulla lamina, ascoltando attentamente, poi esaminò con estrema cura la superficie del portone in cerca di sportelli segreti e comparti nascosti, ma non trovò niente.
E così, dopo innumerevoli e disparati esperimenti, anche lui fu costretto a seguire a ritroso il proprio cammino ed uscì sopraffatto dall’enigma.
Il terzo vagò per molti giorni, addentrandosi nel profondo del labirinto, dove infine trovò la propria strada sbarrata da una piccola porticina d’ulivo, impreziosita dalle magnifiche venature del legno. Provò ad aprirla servendosi della maniglia, ma inutilmente: sembrava chiusa a chiave.
L’uscio, che aveva intagliato al centro un bel volto stilizzato, gli rivolse la parola:
“Buongiorno Messere. Cosa desiderate da me, umile porta di questo labirinto?”
L’uomo rifletté qualche istante, poi rispose:
“Voglio che tu ti apra e che mi faccia passare”
Il viso sulla porta non cambiò la propria espressione neutra e rispose:
“Mi spiace, ma temo che questo non sia possibile”
L’uomo si stizzì:
“Sei solo una porta: ti ordino di aprirti!”
“Mi spiace, ma non posso proprio farlo”
“Se non ti aprirai, ti trafiggerò con la mia lama fino ad abbatterti, ed il tuo sarà stato un sacrificio inutile!”
Il terzo fratello, infatti, era un prode guerriero e aveva al proprio fianco una spada dura e affilata, compagna di molte battaglie vittoriose.
“Mi spiace: comunque non mi aprirò” replicò ancora la soglia.
Allora l’uomo estrasse la propria arma e iniziò a tirare fendenti, ma i suoi sforzi si rivelarono inefficaci: nonostante il possente cavaliere impiegasse tutta la sua forza, sul bel legno scuro non apparve neppure un minuscolo graffio.
E così, dopo un giorno e una notte trascorsi a minacciare, insultare e colpire l’uscio, anche il terzo fratello dovette uscire a capo chino dal labirinto.

I tre fratelli però avevano anche una giovane sorella, che entrò a sua volta nel dedalo. Giunta alla prima porta, di legno borchiato e chiusa dal lucchetto, la ragazza alzò lo zerbino e trovò la chiave che apriva la serratura, spalancando la porta.
Oltrepassò l’uscio e poco dopo giunse al grande portone di bronzo. Qui non fece nessuna delle complesse manovre compiute da suo fratello, ma semplicemente posò la mano sulla maniglia, piegandola: la porta si aprì senza opporre alcuna resistenza (suo fratello aveva provato in mille modi complicati e stravaganti, senza tentare il sistema più semplice!).
La ragazza giunse infine alla terza porta, quella con il volto di ulivo. Quando le fu vicina, il viso intagliato le chiese:
“Buonasera Milady. Cosa desiderate da me, umile porta di questo labirinto?”
“Buonasera Mastro Portale. Sarei molto contenta se poteste gentilmente aprirvi, per cortesia”
“Certamente, nessun problema” rispose la soglia, schiudendosi e rivelando la fine del labirinto.
La ragazza si chiamava Idea, ed è questo che dovrebbero fare tutte le idee, prima di uscire dagli intrecci della mente: superare una prima porta se il concetto è intelligente, oltrepassare una seconda soglia per verificare che sia utile e necessario, e infine valicare l’ultimo sbarramento solo se il pensiero è gentile e rispettoso degli altri.
Soltanto in quel momento, oltre le tre soglie, il pensiero dovrebbe diventare parola.

Massimo Renaldini si misura nel difficile campo della favola e il risultato è davvero piacevole, “Le tre soglie” miscela con sapienza tutti gli ingredienti del genere, in primis la metafora.
La “fuoriuscita delle idee” dal cervello è illustrata gradevolmente, la storia è costruita con proprietà di linguaggio e capacità di attrarre l’attenzione del lettore. Viene evidenziata al meglio la morale che spesso non è la forza bruta – e quasi inevitabilmente ottusa – a cambiare le situazioni, ma ben altre forze meno evidenti, meno “plateali”, ma più efficaci.
Splendido messaggio, quindi, quello lanciato da Massimo Renaldini, da far nostro in ogni occasione di vita.

Per contattare l’autore: massimo.renaldini@gmail.com  

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