martedì 15 dicembre 2015

"La casa sul poggio": il nuovo libro di Michele Di Lieto


Non è la prima volta che L’ArgoLibro pubblica un testo di Michele Di Lieto. Nel 2013 questa Casa editrice ha pubblicato un volume di Memorie che, anche dal titolo, poteva sembrare il canto del cigno di un magistrato prestato alla narrativa. Invece no: perché Michele Di Lieto ha trovato tempo e voglia di scrivere un altro libro, che sembra esulare dai moduli (prevalentemente autobiografici) dei libri precedenti, e costituisce una novità anche per l’Editore. Pubblichiamo qui uno scambio di idee (qualcosa più di un’intervista) sul libro appena uscito.

Michele Di Lieto: “La casa sul poggio”. Perché questo titolo?  La casa sul poggio è quella in copertina?
La casa sul poggio non esiste e, se esiste, esiste solo in copertina. Ma la casa sul poggio è molto più che la casa in copertina: è il motivo ispiratore del libro. La casa alla quale mi sono ispirato è una delle tante disseminate nelle nostre campagne, nella gran parte abbandonate (le case e le campagne), una casa né più né meno come quella in copertina, col tetto crollato, i muri cadenti, avanzi di chiese e conventi, una casa abbandonata, aperta a qualche coppia di innamorati, a gruppi di rom o di drogati. Ecco, nel vedere quelle case abbandonate, quei tetti crollati, quei muri cadenti, mi sono spesso chiesto se case, muri e tetti potessero parlare, quante storie, quanta Storia potrebbero narrare. E perché quelle storie, quella Storia non la narro io. Con quel poco o quel tanto di fantasia che sorregge qualsiasi testo di narrativa. È così che mi sono messo a scrivere. È così che la casa sul poggio è diventata motivo ispiratore del libro.

“La casa sul poggio” ha un sottotitolo: Storia e storie del Cilento. Può spiegarci di che si tratta?
Certamente. Anche il sottotitolo merita una spiegazione. Ho già detto altrove che esso non ha valore esplicativo, ma è un omaggio, una sorta di dedica alla terra nella quale ho trascorso gran parte di vita. A ben guardare, si tratta però di un sottotitolo riduttivo. Riduttivo perché può generare l’idea che il libro tratti la Storia del Cilento, mentre la Storia è quella di Napoli e del meridione, la città e le campagne attraverso i secoli. Riduttivo perché può indurre a pensare che le storie che attraversano il libro siano piccole storie legate a beghe di paese, mentre per me si tratta di storie simbolo: la lotta tra il bene e il male, il contrasto tra ricchi e poveri, il potere che opprime i poveri cristi. Che io abbia ambientato queste storie nella terra che mi ha adottato è un puro caso: penso che, volendo, avrei potuto collocarle anche in un ambito diverso. Resta il fatto che si tratta di storie false e storie vere, di personaggi veri e personaggi inventati, non legati necessariamente alla terra nella quale sono collocati. Non è un caso che la stessa città che fa da cornice alle mie storie sia anche nel nome una città mai esistita. Spinazze non esiste: esiste Spinazzo, ma è una località che non ha niente a che fare con le storie del libro.

La casa sul poggio: storia vera e storie false, figure inventate e figure realmente esistite. Non è un motivo che ricorre in altri suoi libri?
È vero. In tutti (o quasi tutti) i libri che ho scritto c’è un insieme di storia vera e storia falsa. I personaggi, le figure, i protagonisti dei miei libri sono in parte veri, in parte falsi. Si prenda Tsunami, il mio terzo libro. Tsunami è, almeno nella prima parte, la storia di un uomo di sinistra, professore di filosofia con la tessera del PCI, che tra lo Stato e le Brigate rosse, sceglie (idealmente) le Brigate rosse, e dopo l’assassinio di Moro, che egli attribuisce a colpa della DC ma anche del PCI, abbandona la scuola, abbandona lo Stato, abbandona anche il PCI. Basterebbe questo per capire come Tsunami, quanto meno nella prima parte, sia anch’esso un miscuglio di storia vera (le Brigate rosse, gli anni di piombo, la morte di Moro) e di storia falsa (la storia del protagonista).

Storia vera e storia falsa. La casa sul poggio è forse un romanzo ‘storico’?
Può darsi, io non ne sono convinto. Già nella avvertenza iniziale parlo volutamente, e più genericamente, di un libro metà saggio metà romanzo: e, per quanto ne sappia, il romanzo ‘storico’ non è, non può essere un saggio. In ogni caso, non è l’autore il soggetto più adatto a catalogare il libro che ha scritto. Questo è compito del critico e, come tutti sanno, non v’è in letteratura, ma non solo in letteratura, peggior critico di se stessi. Quel che posso dire è che La casa sul poggio è la storia di una casa, e di una famiglia attraverso i secoli. Inizia dal seicento, dalla costruzione della casa, e arriva fin quasi ai tempi nostri, con una serie di storie inserite nella Storia del secolo cui appartengono. Storia vera, che non fa solo da cornice. Storia vera, talvolta, ma non sempre, liberamente ricostruita. Così, ne La casa sul poggio si parla della peste del seicento, della carestia del settecento, del colera dell’ottocento, del terremoto del novecento. Tutti eventi negativi, perché di eventi negativi è intessuta la nostra Storia. Eventi negativi naturali, eventi negativi quelli che si accompagnano agli eventi naturali: non a caso nel libro parlo della legge per il risanamento, varata dopo il colera del 1884, che diede luogo alla prima colossale speculazione edilizia della storia unitaria, non a caso parlo degli scandali e dei fenomeni corruttivi del dopo terremoto del secolo scorso. Tutti eventi negativi, come di eventi negativi è intessuta la storia della famiglia da me ricostruita. Una famiglia che nasce, cresce, e torna ad essere una famiglia contadina. Almeno fino a che è esistita una famiglia contadina.

Storia vera, storia falsa. Non c’è spazio, in questo libro, per motivi autobiografici?
Ce n’è. Ce n’è e come. Ho detto, e scritto altrove, che ogni opera di narrativa, racconto novella o romanzo che sia, è autobiografia. Ho detto, e pure scritto, che in ogni opera di narrativa, se non è autobiografico il protagonista, lo è l’alter ego, se non questo il personaggio secondario, se non questo, l’ambiente, il paesaggio, lo sfondo che fa da cornice. Non ho detto, e neppure scritto, che l’opera di narrativa può essere autobiografia per un altro motivo: perché nasce da emozioni, sensazioni, ricordi che sono solo di chi scrive. In questo senso, e non solo in questo, La casa sul poggio è autobiografia. Gli esempi potrebbero essere infiniti. A partire dalla casa, la casa sul poggio, la casa in copertina. Per finire alla malattia di Isabella Vanacore vedova del Mastro, o alla battaglia elettorale dell’Amalia Formigli, o al naufragio dell’Andrea Doria, che trovano tutti radice in ricordi personali di chi scrive.

Non Le pare di dilatare di molto il concetto di autobiografia includendo anche ciò che nasce da sensazioni, emozioni, ricordi che sono solo di chi scrive? Non è che così facendo qualsiasi opera di narrativa diventa autobiografia?
È proprio quel che io sostengo: che non esiste inventiva allo stato puro, e che ogni opera di narrativa affonda le sue radici in ricordi propri di chi scrive. Ma, a parte questo, ne La casa sul poggio c’è qualcosa di molto più autobiografico. In questo libro vi sono almeno due figure, e non sono figure secondarie, ma protagonisti, che mi somigliano: quanto meno, io volevo mi somigliassero. Il primo. È un sognatore: anche io, forse tutti noi siamo, o siamo stati dei sognatori. Viene dalla terra: anche io, forse tutti noi veniamo dalla terra. È un giurista, attaccato al rigore dei principi: anche io sono (ero) attaccato al rigore dei principi, e ho sempre rifiutato ciò che sapeva di cavillo o artificio. Il personaggio del mio libro è un politico prima che giurista: anche a me avrebbe fatto piacere fare il politico più che il magistrato. Il personaggio non è, e non vuol essere uomo di tutte le stagioni, pronto a cambiar casacca secondo il vento spira: anche io ho cercato, nei limiti del possibile, di tener la schiena sempre dritta. Non è uomo di potere, non è uomo di danaro. Lascio a chi legge il compito di giudicare se e quanto mi somigli. E veniamo al secondo protagonista. Lo definirei l’uomo del dubbio, l’uomo che non ha certezze. Anche io sono stato l’uomo del dubbio, sono stato e sono un uomo che non ha certezze. Nel mio mestiere: convinto com’ero, lo sono tuttora, che ragione e torto non si dividono mai di netto, e che la verità delle carte è ben diversa dalla verità vera, sottostante e nascosta alle carte processuali. Nella mia vita: il dubbio essendo parte di me, al punto tale che potrei dire, copiando Sant’Agostino, dubito ergo sum, o qualcosa che vi si avvicina. Ma bando alle litanie. Mi servivano solo per dire quanto mi somigliano i protagonisti del libro, quanto nel libro v’è di autobiografia. Perché non vi è libro di narrativa che non sia autobiografia.

Anche il romanzo ‘storico’?
Certo: anche il romanzo ‘storico’, ammesso e non concesso che La casa sul poggio sia un romanzo ‘storico’. Non citerò Manzoni, e i suoi Promessi Sposi, che sono il primo e il più famoso dei romanzi ‘storici’, dove numerosi sono i personaggi costruiti a misura dell’Autore. Farò l’esempio di uno scrittore più recente, anzi di una scrittrice. Dacia Maraini e La lunga vita di Marianna Ucria. Non vi è critico letterario che, a proposito di Marianna Ucria, non abbia parlato di romanzo “storico”. Pure, nella collana dei grandi romanzi italiani pubblicata qualche anno fa a cura del Corriere della sera, Isabella Bossi Fedigrotti, una che di romanzi se ne intende, ne fa un romanzo autobiografico, identificando nell’autrice la protagonista del romanzo, e nelle vicende narrate esperienze proprie dell’autrice. Questo per dire che non vi è romanzo che non sia autobiografia. Che anche il romanzo ‘storico’ può essere autobiografia. Che anche un libro metà saggio, metà romanzo come io preferisco definire “La casa sul poggio” può essere autobiografia.

Michele Di Lieto: “La casa sul poggio”. Se lei dovesse fare una raccomandazione a chi si accinge a leggere il libro, che cosa gli direbbe?
Bella domanda. Me la potrei cavare invitando il lettore a leggere il libro: tutto il libro. Ma, poiché La casa sul poggio è fatto di Storia vera e di storie false, a non saltare la parte di Storia vera. Che è la Storia della repubblica partenopea del ’99, una delle pagine più gloriose della storia del Meridione, è la Storia delle migrazioni di fine ottocento, che tanto serve a capire fenomeni migratori a noi vicini, è la Storia degli anarchici del New Jersey, socialisti, idealisti, utopisti, come il personaggio che mi somiglia. Ma, soprattutto, inviterei il lettore a una riflessione attenta sulla quarta parte, che io ho voluto intricata, piena zeppa di riferimenti tecnici, o politici, o giuridici, solo per indicare gli intrighi, i cavilli, gli artifici, di cui è fatta la giustizia dei “poveri cristi”.

A proposito della quarta parte, il protagonista, Antonino Ognissanti, fa la fine di Coppi. C’è un motivo particolare che giustifichi il ricordo di Coppi?
La ringrazio della domanda. Perché il ricordo di Coppi è uno dei tanti ricordi che affiorano dalla vita dello scrittore, e ha anch’esso un contenuto autobiografico. Quando è morto Coppi, agli inizi del ’60, io ero ricoverato, e mi dibattevo tra la vita e la morte in una stanza d’ospedale per una epatite virale che tutto era fuorché epatite. Il ricordo di quei medici che, giornali alla mano, facevano i sapienti e cantavano messa (così si chiamava il primario del reparto) per la sorte di Coppi, mentre non riuscivano a risolvere il mio caso, che era quello di una appendicite quasi peritonite, mi rimase impresso. Al punto tale che, per il mio protagonista, ho scelto quella morte, o una morte che le somiglia. E anche questo è autobiografia. 

Lo scambio di idee può dirsi terminato. La ringrazio.
Ringrazio lei, ringrazio Milena Esposito per la pazienza che ha avuto, per la cura che mette in ogni libro edito da L’Argolibro. In bocca al lupo per me, per la casa editrice, e così sia.

(intervista a cura di Francesco Sicilia)


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